Diceva il Professor Luigi Villa, clinico medico a Milano e mio Maestro, che una buona anamnesi consente mezza diagnosi. Se applichiamo questo principio al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano, vediamo che esso nasce nel 1978, 30 anni dopo quello inglese cui si ispira, e che quest’ultimo prende vita per iniziativa del Ministro della Sanità socialista del tempo come “nazionalizzazione della sanità inglese”. Esso quindi è totalmente pubblico, finanziato con la fiscalità generale, gratuito al punto di erogazione dei servizi, offerto a tutti coloro che si trovano sul suolo inglese senza alcuna discriminazione.
Così origina anche il nostro SSN, ma presto cominciano pericolose interferenze che ne minano la natura. La Costituzione italiana del 1947, sotto la spinta di persone autorevoli e interessi politici ed economici, ha previsto che in Italia nascessero le Regioni, organismi di governo territoriale cui lo Stato Centrale delega in tutto o in parte i poteri in alcuni ambiti. Tra questi la Sanità, ossia l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari; purtroppo però la ripartizione dei poteri tra Stato Centrale e Regioni non è mai stata definita con chiarezza e ciò ha creato un crescente contenzioso tra Stato e Regioni, anche perché le Regioni rivendicano sempre maggiori spazi decisionali e lo stato Centrale è lentamente retrocesso e progressivamente indebolito.
Nel 2001 la Costituzione è stata modificata in senso ancor più favorevole alle Regioni, senza però fare chiarezza sui rispettivi poteri. Oggi possiamo ritenere che allo Stato Centrale rimangono per la Sanità solo i poteri di fissare i principi del sistema e di assumere tutti i poteri in caso di emergenza nazionale.
In questo clima di non sempre pacifica convivenza tra Stato Centrale e Regioni, queste hanno spinto verso un’autonomia sempre maggiore, che le ha portate ad esempio a disegnare e attuare organizzazioni sanitarie tra loro diverse per quantità, qualità e costo dei Livelli di Assistenza erogati, senza peraltro una chiara definizione dei relativi standard né efficienti controlli dello Stato su questi parametri; la crescente limitazione delle risorse disponibili per la Sanità, ha peggiorato situazioni di disparità con diseguaglianze tra i servizi erogati incompatibili con principi costituzionali di parità di diritti e con disagi assai gravosi per i cittadini. Ma oltre alle diseguaglianze, altri tre fondamentali errori sono stati fatti in sanità, sia dallo Stato Centrale che dalle Regioni:
1) disinvestire in Sanità, riducendo l’adeguamento del costo della vita per un decennio con perdita di valore elevato (stimato da alcuni in circa 37 miliardi di Euro)
2) spendere la maggior parte delle risorse disponibili per la diagnosi e la cura, riducendo al minimo gli investimenti per la medicina territoriale, la prevenzione, la ricerca e l’ambiente
3) ignorare il rischio di emergenze sanitarie (come le epidemie) e addirittura smontare quel poco di sistema di vigilanza continua, di gestione e comunicazione del rischio che era stato affrontato in precedenza.
A queste gravi lacune altre peraltro se ne sono aggiunte, quali lo stravolgimento dei principi stessi del SSN, che da tutto pubblico è stato trasformato in alcuni territori in pubblico-privato accreditato (ossia finanziato dal denaro pubblico) con un ruolo del privato accreditato che non è più complementare e integrativo del pubblico. Anzi i Gruppi privati sono divenuti talmente potenti da marginalizzare la componente pubblica, condizionando anche la politica regionale grazie alla loro massiccia presenza e potenza economica. La cosa non è di per sé criticabile, ma è molto criticabile che essa sia intervenuta non per volontà del Parlamento nazionale, ma per iniziativa di poche Regioni, senza un disegno strategico condiviso, senza una chiara volontà popolare.
Nel servizio pubblico peraltro è sorta per iniziativa di alcuni economisti una visione aziendalistica che ha posto i bilanci e la governance come suoi obiettivi primari al posto della medicina e dei malati. Anche Papa Francesco ha denunciato questa distorsione provocata dalla aziendalizzazione delle strutture, che vede oggi i malati e i medici occupare un ruolo subalterno rispetto ad un potere amministrativo quasi assoluto e Direttori Generali di nomina politica: economicismo e invadenza politica che hanno trasformato il pubblico ostacolandone ancora di più la disponibilità economica, lo sviluppo e la competitività con i privati.
Ma un commento particolare è obbligatorio nei confronti della prevenzione. Gli economisti per anni ci hanno ammonito sul fatto che l’invecchiamento della popolazione e il progresso tecnologico avrebbero fatto esplodere la spesa sanitaria e reso economicamente insostenibile il SSN. Solo la prevenzione, specie quella primaria proattiva a basso costo, insieme ad una maggior appropriatezza delle cure e alla riduzione dei grandi sprechi dell’attuale Sanità potrebbero attenuare questo rischio. La prevenzione è infatti un investimento ad alto ritorno economico e in particolare la prevenzione primaria ha potenzialità ancora in gran parte inesplorate: si pensi alla riduzione del consumo di tabacco (che nel 2020 in Italia è stato causa di 80.000 morti premature e di 2 milioni di malattie croniche), del consumo di alcolici, della precoce identificazione dei soggetti a più alto rischio di sviluppare diabete con un semplice questionario, ma anche a quella che oggi viene denominata Deep Prevention, che si propone di eliminare o ridurre le cause prime di pericolose zoonosi, come le modalità innaturali di allevare il bestiame o la vendita di animali vivi nei mercati, che sono all’origine di pandemie come influenza aviaria o Covid-19. Bisognerebbe coinvolgere di più la comunità sui temi di rispetto degli animali e dell’ambiente, chiamandola a combattere ad esempio la dispersione dei mozziconi di sigarette nell’ambiente (con inquinamento delle acque) o il crudele trasporto di animali vivi tra un Paese e l’altro prima di macellarli, o la incredibile sofferenza dei polli e dei maiali costretti a vivere la loro povera e breve vita in condizioni di estrema sofferenza. La sensibilità degli Italiani su questi temi è altissima e le iniziative popolari potrebbero avere grande successo e cambiare le cose, ma esse contrastano gli interessi di Gruppi organizzati che la politica non vuole turbare. Ed ecco allora che uno strumento potente, utile alla maggioranza degli Italiani e alla salute pubblica, vantaggioso economicamente e socialmente, resta relegato in ambiti molto limitati: non se ne parla nemmeno e quasi non compare nella programmazione sanitaria. Ma anche l’industria farmaceutica e forse altre realtà sanitarie non lo vedono di buon occhio, perché può toccare i loro interessi e la loro stessa esistenza. I decisori politici vogliono certo il bene dei loro popoli, ma non ignorano il loro tornaconto personale e l’importanza del consenso elettorale. Chi tocca questi interessi muore, almeno politicamente. Il Covid-19 ci ha dimostrato che proprio la mancanza di rispetto per la salute degli animali e dell’ambiente può causare all’umanità dolori assai penosi, e ci ha pure dimostrato che una Sanità che non investe sulla prevenzione non regge alle grandi prove. Gli Ospedali sono importanti per il progresso della medicina e lo sono maggiormente se si impegnano nella ricerca clinica e traslazionale. Essi vanno protetti e sostenuti, ma non in alternativa ad altri settori della Sanità finora trascurati, inclusi i determinanti socio-economici della popolazione, la salute del mondo animale e dell’ambiente, ma anche l’assistenza sanitaria territoriale o cure primarie. Una saggia politica sanitaria tiene conto di tutti questi risvolti ed evita dieci anni di sottofinanziamento di sanità, scuola, ricerca, ambiente, perché sa che questi sono motori economici di sviluppo della Nazione e sorgenti non di sola spesa, ma di benessere e capacità produttiva, di pace sociale, di rispetto delle leggi e dei diritti di tutti. In Italia questa saggezza è mancata, sono mancate le menti colte e illuminate e la pandemia di Covid che stiamo ancora vivendo ci lascia molto provati. Il Professor Francesco Cognetti, oncologo, su” Quotidiano Sanità” del 15/6/2020, riassume così i dati:
Nel corso di questo anno e mezzo durante la prima, la seconda e anche la terza ondata abbiamo assistito purtroppo a:
- ritardi e cancellazioni di oltre 100.000 interventi chirurgici per tumore, fenomeno ancora in atto per la sospensione in molte Regioni degli interventi di elezione tra i quali molti su pazienti oncologici;
- ad un’elevata mortalità extraospedaliera per eventi cardiologici acuti quasi raddoppiata rispetto agli anni precedenti, come sottolineato dalla Società Italiana di Cardiologia;
- al ritardo di molti trattamenti oncologici e all’arresto e/o forte rallentamento per la prevenzione dei tumori;
- è stata inoltre la Corte dei Conti a valutare di recente in circa 150.000 le prestazioni ambulatoriali perse ed in circa 500.000 i ricoveri urgenti e 800.000 i ricoveri programmati non effettuati tra il 2019 e il 2020.
Queste cifre rendono conto di un’incredibile disastro clinico assistenziale che già ha significato, per quel che riguarda il settore dell’oncologia, diagnosi più tardive e tumori più avanzati, con conseguenze che non potranno non tradursi in un aumento significativo della mortalità per tumore nei prossimi mesi o anni.
L’ISTAT già ha calcolato che nel corso del 2019 la mortalità per malattie cardiovascolari, oncologiche ed ematologiche era stata di 413.000 cittadini italiani mentre altri 123.000 erano deceduti per altre malattie per un totale di 556.000 morti all’anno.
Noi già sappiano che se i dati di mortalità osservati da marzo a dicembre 2020 vengono confrontati con la media della mortalità dello stesso periodo dei cinque anni precedenti, emerge una mortalità in eccesso del 21 % e cioè 108.178 morti in più dei quali il 75% dovuti al Covid e il 25% dovuti a patologie non Covid (per ora prevalentemente solo cardiovascolari).
Questa mortalità non Covid del nostro Paese è tralaltro la più alta tra tutti Paesi Europei, ma purtroppo il nostro Paese detiene anche il primato della maggiore mortalità direttamente correlata al contagio da Covid in Europa mentre è quarta al mondo dopo Messico, Perù e Sudafrica.
L’ Italia inoltre è seconda in Europa dopo la sola Repubblica Ceca ed insieme al Belgio per la percentuale di morti di Covid rispetto alla popolazione. Peraltro è da osservare come l’Italia sia stata soltanto il 9° Paese in Europa per contagi in rapporto alla popolazione.
Cito questi dati perchè è di tutta evidenza che essi esprimono quanto sia stata debole la reazione del nostro Sistema Sanitario nel suo complesso alla pandemia e soprattutto del comparto ospedaliero nonostante l’incredibile abnegazione dimostrata dal personale tutto (medici ed infermieri) fino al sacrificio personale delle tante vittime cadute durante lo svolgimento del loro servizio.
Del resto tutte le epidemie hanno lo stesso svolgimento e cioè un andamento multistep che attraversa almeno tre stadi. C’è una prima fase che è quella della crisi dovuta alla diffusione del virus nella quale sono prioritarie le misure di contenimento e della tracciatura dei contatti.
Ma se questa fase fallisce subentra la fase della grave crisi dell’intero Sistema Sanitario e della difficoltà della gestione clinico – assistenziale soprattutto da parte degli ospedali; questa fase può durare molti mesi o addirittura anni in relazione alla tempestività e qualità dei provvedimenti correttivi che vengono messi in atto.
Poi subentra la terza fase della crisi sociale ed economica che può durare anch’essa molti e molti anni.
Di fatto le carenze storiche del comparto ospedaliero, preso di mira dalla politica nel corso degli ultimi anni con tagli irresponsabili e privi di qualsiasi giustificazione, è testimoniato da alcuni numeri che sono da tempo a disposizione di tutti e che forse vale la pena di ricordare:
- il numero complessivo di posti letto ordinari per 100.000 abitanti nel nostro Paese è molto più basso rispetto alla media europea (314 vs 500) e ci colloca al 22° posto tra tutti i Paesi Europei;
- il numero di posti letto di terapia intensiva sarebbe passato durante la pandemia da 8.6 a 14 in realtà come sancito di nuovo dalla Corte dei Conti nonostante lo stanziamento di notevoli finanziamenti (circa 700 milioni di euro) ne risulterebbero attivati solo il 26 % di quelli previsti e cioè circa solo 922 su 3.591. Il nostro Paese quindi si trova a questo riguardo ancora abbondantemente dietro rispetto ai Paesi dell’ Europa Occidentale;
- il numero complessivo dei medici specialisti ospedalieri è di circa 130.000, ben 60.000 mila in meno rispetto alla Germania e 43.000 della Francia. Carenze della stessa entità per gli infermieri operanti negli Ospedali. Di nuovo la Corte di Conti ci viene in aiuto per fornirci dati aggiornati sui medici neo-assunti durante la pandemia dove circa 20.000 medici neoassunti, il 50% è rappresentato da specializzandi o medici solo abilitati alla professione e neppure specializzandi e quasi tutti con rapporti di collaborazione o incarichi a tempo determinato. Circa i nuovi infermieri (circa 30.000) solo il 27% ha instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Siamo quindi ben lontani dal reclutamento di professionisti qualificati e dall’offrire loro contratti dignitosi oltretutto in forza di una legge assurda che istituiva il numero chiuso nell’iscrizione alla Facoltà di Medicina, con conseguenze catastrofiche; infatti solo 9-10.000 sono annualmente i laureati nelle nostre Università e molti di essi preferiscono trasferirsi all’estero dopo la laurea. Il ritmo dei pensionamenti è oltretutto di molto superiore rispetto a quello dei nuovi accessi.
I chirurghi ospedalieri hanno recentemente lanciato un allarme sulla carenza di medici, anestesisti ed infermieri applicati nelle sale operatorie al recupero del milione circa di interventi persi (100.000 su pazienti oncologici).
Complessivamente i professionisti impiegati nelle sale operatorie sono ormai solo 7.000 visti i pensionamenti di molti di loro e le poche unità nel frattempo reclutate.
La spesa complessiva per il Servizio Sanitario Nazionale per il 2017 al era al 15° posto in ambito europeo e per la percentuale sul PIL 8.8% vs una media europea del 9.9% ma da considerare che nel caso dell’Italia più di due punti si riferiscono alla quota parte a carico dei privati cittadini per cui la spesa pubblica risulta essere attorno al 6% circa, valore molto più basso rispetto a quello degli altri Paesi dell’Europa occidentale che vede l’Italia davanti solo ai Paesi dell’Europa dell’Est.
Per quel che riguarda le spese correnti finali per la Sanità nel 2017 sono state in Italia di 153 miliardi di euro vs i 369 della Germania e i 260 della Francia. Inoltre la spesa sanitaria corrente per ciascun abitante è di circa 2.500 euro vs i 3.800 del Regno Unito e Francia e i 4.100 in Germania e i 5.100 della Svizzera.
Si tratta quindi di recuperare un gap molto consistente e significativo per rimettere in sesto il nostro Servizio Sanitario Nazionale danneggiato da continui tagli orizzontali che ne hanno minato per anni capacità di azione e reattività.
E il giorno successivo su “Quotidiano Sanità”, il Direttore Luciano Fassari sottolinea i tagli operati sul personale sanitario e sui posti letto ospedalieri. In questi dati e commenti crudi circa il finanziamento del nostro SSN, circa l’operato delle Regioni, i pregiudizi ideologici e le visioni settoriali e limitate, scarse di cultura e di saggezza, è racchiuso l’atto finale di un SSN ispirato ad un grande ideale, ma stravolto in poco più di 40 anni da diverse forze e interessi che forse avevano meno a cuore il benessere del popolo italiano o non avevano la capacità di capirlo. Oggi tutto questo è sotto gli occhi di tutti e l’occasione può essere propizia per rimediare agli errori del passato e riportare il SSN ai suoi originali obiettivi e ammodernarlo, allargandolo come la conoscenza insegna al benessere sociale, alla riduzione delle diseguaglianze, al rispetto dei diritti di tutti, alla salute del mondo animale e dell’ambiente con i quali la salute dell’umanità è strettamente intrecciata. Ma è questa la volontà del Governo, che pure tanto merito e stima ha meritato reperendo ingenti risorse economiche e stilando un Piano per la Resilienza e la Ripresa della Nazione? Di primo acchito i fondi previsti per la Sanità sembrano pochi e finalizzati solo a miglioramenti strutturali certo importanti, ma non esaustivi. Voglio credere che il mondo della Sanità italiana non abbia saputo trasmettere al Governo l’urgenza e la vitale importanza di ricondurre ai suoi ideali fondanti il SSN, che può essere un bene prezioso per il Paese se dotato di risorse sufficienti e “guarito” dalle mutilazioni che gli sono state inflitte; se così è, forse si potranno allora trovare le risorse necessarie e salvare questo prezioso bene. Tutto il mondo della Sanità non deve cessare di insistere perchè ciò accada.