La risposta italiana al COVID-19

Alcuni amici mi domandano come giudico il comportamento del Governo italiano (e delle Regioni) di fronte al COVID-19. Globalmente ritengo che l’Italia non fosse pronta ad affrontare la pandemia, ma che si sia mossa poi bene una volta che la pandemia si è manifestata; resta solo la perenne palla al piede di ogni azione che è la lungaggine burocratica tipica del Paese.
In merito alla “carente preparazione alla pandemia” ritengo che vadano considerate le seguenti cause:

  1. la sconsiderata politica di austerity che in circa 10 anni ha indebolito pericolosamente il nostro Servizio Sanitario Nazionale, riducendo il personale, i materiali, i servizi, ecc., incluso il Ministero della Salute ove, presso la Direzione Generale della Prevenzione con Decreto Legge n. 81/2003 (convertito in legge 138/2004) era stato istituito, in occasione della SARS 2003, il CCM (Centro di Controllo delle Malattie), o CDC italiano, struttura permanente appositamente finanziata ogni triennio per valutare i rischi per la salute pubblica, gestire questi rischi, comunicare con la popolazione, con il mondo scientifico internazionale e nazionale, con il personale sanitario e non sanitario, preparare e aggiornare continuamente piani di contrasto, effettuare simulazioni ed esercitazioni, educare la popolazione e gli specialisti, suggerire al Governo le azioni da intraprendere con tempestività.
    Ignorando la ben nota affermazione che “non sappiamo quando, ma sappiamo per certo che una pandemia grave si presenterà nel futuro” il Ministero ha smantellato il Centro, forse per motivi economici, in analogia a quanto hanno fatto molte Nazioni europee, specie la Gran Bretagna1,2.
  2. Come altre Nazioni europee, inoltre, l’Italia grazie alla convenienza di affidare alla Cina la produzione manifatturiera, si è trovata senza Aziende strategiche e quindi priva di materiali sanitari, come respiratori per rianimazione o materiali per la protezione individuale. Questa imprevidenza ha comportato per i medici di base e per altro personale sanitario l’esposizione non protetta agli infetti di COVID-19 che è costata a molti di loro la vita o la salute. Ai malati peraltro è mancata l’assistenza clinica dei loro medici, cui veniva raccomandato di non visitare i malati che si rivolgevano a loro, ma di indirizzarli ai Pronto Soccorso quando le condizioni fossero molto gravi; se gravi non erano, i malati venivano lasciati a casa senza assistenza con la generica prescrizione telefonica di antipiretici.

La scadente iniziale preparazione all’epidemia è grave responsabilità di governi che per inavvedutezza o impreparazione hanno seguito logiche di austerity, impostate a livello internazionale da economisti che si sono rivelati cattivi maestri, e che non hanno nemmeno ammesso di aver sbagliato né mostrato la volontà di cambiare la loro linea in futuro.
Il Governo italiano si è però riscattato almeno in parte una volta investito dall’epidemia di COVID-19. Con una serie di provvedimenti normativi e investimenti sostenuti malgrado il difficile momento economico, esso ha contenuto la prima fase dell’epidemia fino a farla quasi scomparire, e si accinge a reiterare i provvedimenti ora che l’epidemia rialza la testa. Non si può non riconoscere al Governo di aver agito con discreta determinazione, malgrado non pochi impedimenti gravi, quali:

  1. il difficile rapporto con le Regioni
  2. il protagonismo di medici e politici che non hanno risparmiato di prodursi in polemiche e in dibattiti televisivi che hanno disorientato gli spettatori
  3. la scarsa consapevolezza di parte della popolazione, che non rinuncia ad assembramenti pericolosi
  4. la burocrazia che con lungaggini incomprensibili ritarda l’attuazione dei provvedimenti
  5. la oggettiva dificoltà di conciliare le esigenze sanitarie con quelle economiche e sociali (trasporti pubblici, scuole, lavoro, ecc.).
    Tutti questi condizionamenti rischiano di ritardare in modo pericoloso il contenimento della nuova ondata di infezione, che, pur avendo un andamento clinico meno grave della prima, grazie all’esperienza acquisita sul piano clinico, sanitario e organizzativo, rappresenta pur sempre un pericolo per la salute pubblica e per l’economia nazionale. Proprio su questi impedimenti e sulla lezione che abbiamo imparato si dovrà riflettere in futuro per far tesoro delle esperienze fatte e modificare le regole e le realtà che si sono dimostrate non idonee3.

Riferimenti bibliografici

  1. Editorial: the UK’s public health response to Covid-19. BMJ 2020;369:m1932
  2. How the erosion of our public health system hobbled England’s covid-19 response. BMJ 2020;369:m1934).
  3. Scientific consensus on the COVID-19 pandemic: we need to act now. the lancet online https://doi.org/10.1016/50140-6736(20)32153-X

Danni e opportunità del COVID-19

Forse non riusciamo ancora a valutare del tutto l’entità dei danni provocati dall’epidemia di COVID-19, ma altrettanto oscuri sono i cambiamenti e le opportunità che essa genera nella società italiana. Ho individuato alcuni ambiti dove avremmo forse la possibilità di cambiarli in meglio, correggendo alcuni errori che sono apparsi molto chiari in questo frangente:

1. Da troppi anni l’economia e la finanza sono la prevalente preoccupazione dei Governi italiani e tutto viene sacrificato nel loro nome. Grandi vittime sono stati la salute pubblica e il Servizio Sanitario Nazionale, cui sono stati progressivamente ridotti gli investimenti e l’attenzione fino alla stremo. I tagli lineari che sono stati apportati hanno provocato enormi guasti, perché hanno penalizzato la parte migliore del sistema senza peraltro influire sugli sprechi, le inefficienze e gli illeciti. Ci siamo addirittura trovati con un numero di medici insufficiente perché non si è posto rimedio alla combinazione di due fattori concomitanti: esodo massivo di professionisti in servizio, insufficiente numero di specialisti preparati dalle Università. Disinteresse che si riflette anche nella progressiva riduzione degli Ospedali pubblici e nella debolezza della medicina territoriale dove da anni si sarebbe dovuto provvedere, con strutture complesse di riferimento (quali Case della Salute, POT, etc.), a offrire nuovi servizi sanitari, specie ai malati cronici che oggi costituiscono la maggioranza della patologia. Disattenzione che ha fatto smantellare anche il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie Infettive (CCM) costituito con legge 138/2004 presso il Ministero della Salute e deputato alla continua vigilanza sulle epidemie del mondo, alla valutazione dei rischi che tali epidemie colpiscano anche l’Italia, alla preparazione dei piani di contrasto prima che la calamità si manifesti (vedi Donato Greco, Quotidiano Sanità, 11 maggio 2020). Il CCM è stato infatti abbandonato nel 2012 in quanto forse ritenuto una spesa eliminabile e così ci siamo trovati impreparati nella bufera senza sapere che fare. Alla luce di questi fatti mi auguro che il Governo corregga i suoi errori, ponendo tra le sue priorità la salute e il benessere dei cittadini oltre all’economia e alla finanza. Proteggere la salute e il benessere significa dedicare a questi settori risorse economiche adeguate, ma anche studio e pensiero, ponendo attenzione ai mutevoli bisogni della popolazione e del personale sanitario che per anni è stato trascurato. Dobbiamo ripensare all’organizzazione della sanità, che è quasi del tutto nelle mani delle Regioni e della politica regionale, affidata a manager di nomina politica selezionati più sull’appartenenza che sui meriti e più attenti al bilancio delle cosiddette Aziende sanitarie che alla salute degli utenti. Bisogna ridefinire i ruoli della sanità pubblica e di quella privata accreditata, bisogna infine che la sanità pubblica venga liberata da una serie di vincoli che la stanno soffocando. Più in generale, forse, l’Italia deve chiedersi se vuole continuare ad avere un Servizio Sanitario Nazionale o vuole un sistema diverso. Coerenza vuole che, se la scelta è la prima, si eviti di continuare ad attuare provvedimenti che la mettono a rischio e ne compromettono il funzionamento. Bisogna uscire dall’ambiguità tormentosa dell’attribuzione dei poteri alle Regioni e allo Stato. La pandemia di COVID-19 ha aperto il sipario su un penoso spettacolo di conflitti istituzionali che non possiamo più tollerare e che era prevedibile, data l’ambiguità del Titolo V della Costituzione e dei rimaneggiamenti scritti e non scritti che ne sono seguiti. Una lotta per il potere che ha generato sfiducia e incertezza nella popolazione e discredito alla Nazione. E’ accettabile che in sanità le Regioni abbiano poteri amministrativi, ma questo non significa frazionare la Nazione e contrapporsi ad altri poteri dello Stato per ragioni più politiche che tecniche. Speravamo che col tempo le Regioni acquisissero maggiori capacità e potessero garantire una migliore utilizzazione delle risorse. Ciò è avvenuto in parte, ma bisogna ammettere che le Regioni globalmente non hanno fatto bene, pur consumando una grande quantità di denaro. Il decentramento previsto dal Titolo V della Costituzione (detto anche federalismo o devoluzione) non ha sortito il successo previsto dai Costituenti per almeno quattro motivi: Continue reading “Danni e opportunità del COVID-19”

COVID-19 e comunicazione dei rischi

Social media e Televisioni da mesi propongono dibattiti sul COVID-19 e la popolazione partecipa al dibattito schierandosi a favore o contro alcune persone, tesi o iniziative. Penso che tutto questo sia sbagliato e abbia contribuito non poco a creare incertezze, panico e discredito delle Istituzioni e della scienza. Baso questa convinzione sui seguenti fatti:

  • il dibattito scientifico è la regola tra gli scienziati, giacchè la scienza si muove per passi successivi: la verità scientifica è relativa, vale cioè oggi e può essere smentita domani. Il continuo divenire della conoscenza è tuttavia una caratteristica che confonde il pubblico profano che vuole certezze assolute;
  • lo scienziato non è un tuttologo, ma una persona che conosce e coltiva ambiti specifici e limitati del sapere. Pertanto un epidemiologo e un clinico non sono intercambiabili e hanno visioni assai diverse dei problemi. Essi possono però collaborare a risolvere questi problemi ed è appunto il risultato di questa collaborazione che può accelerare il progresso della conoscenza. Al pubblico va portata questa sintesi, non i singoli passi del lavoro in corso, dato che il pubblico non ha gli strumenti cognitivi per comprendere;
  • il protagonismo degli scienziati deve essere mortificato, non stimolato. In tutti i campi vi sono persone che hanno un bisogno sfrenato di apparire, di calcare un palcoscenico specie se questo è un trampolino per migliorare la propria carriera. Per questo è necessario che l’informazione su temi così preoccupanti e gravi come il COVID-19 venga divulgata da portavoce autorevoli e credibili, possibilmente in numero limitato. L’informazione deve essere veritiera, non deve nascondere né i risultati né i problemi, ma evitando allarmismi.

Quello che stiamo vedendo in Italia è un esempio di come l’impreparazione all’epidemia abbia portato ad una comunicazione di massa del tutto sbagliata. Un piano di preparazione alle epidemie (raccomandato da decenni dai massimi organismi internazionali) deve infatti curare con attenzione la comunicazione dei rischi, perché da questa dipendono in grande misura i comportamenti della gente ed il successo delle iniziative di contrasto. Avevamo gli strumenti per prepararci, ma ci sono mancati attenzione e rispetto della salute pubblica, così come continuiamo a non rispettare la “health in all policy” e l’“one health”, iniziative cui abbiamo aderito e che impongono ai Governi di non emanare provvedimenti che nuocciono alla salute pubblica cioè alla salute degli uomini, degli animali e dell’ambiente, che costituiscono un tutt’uno, come troppo spesso accade per favorire interessi di parti della società. Interessi e ignoranza di chi decide sono i grandi nemici della salute pubblica e purtroppo prevalgono molto spesso. Ciò è accaduto anche oggi con COVID-19 che, forse non a caso, si è presentato dopo anni di scelte sciagurate che hanno dissestato la sanità per favorire altri settori.  Oggi che abbiamo visto quanto vale la salute e che dobbiamo spendere enormi capitali per rimediare ai nostri errori dovremmo trarre un insegnamento per il futuro: misuriamo la qualità dei Governi sulla loro attenzione al benessere della popolazione tutta e non di singoli gruppi di interesse.

Il CDC italiano

Il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CCM), che è l’analogo dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention) di altri Paesi, venne istituto in occasione dell’epidemia di SARS del 2003 con decreto-legge n. 81 del 29 marzo 2004 “Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la sanità pubblica”, trasformato in legge 26 maggio 2004 n. 138. Esso venne finanziato con circa 30 milioni di Euro annui per 3 anni e collocato nell’ambito della Direzione Generale della Prevenzione del Ministero della Salute, affidato alla direzione operativa del Prof. Donato Greco, noto epidemiologo-infettivologo proveniente dall’Istituto Superiore di Sanità e da anni inserito nei contesti nazionale e internazionale di contrasto alle epidemie. Il CCM prevede un Comitato Strategico costituito dai responsabili dei CCM nazionale e regionali e un Comitato Scientifico costituito dai maggiori esperti italiani della materia, nonché un Centro di Riferimento Nazionale di Genetica Molecolare (Fondazione INGM) collocato presso l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e finanziato ad hoc, e un programma triennale di ricerca Italia-USA sulla materia, finanziato con oltre 12 milioni di Euro/anno per 3 anni. Continue reading “Il CDC italiano”

COVID e Medicina Territoriale

I malati di COVID lasciati soli a casa con un consulto solo telefonico, ripropongono con forza il problema della Medicina Territoriale e dei Medici di Medicina Generale. Da anni sento dire che questa deve essere la figura centrale del Servizio Sanitario Nazionale, che da essi dipendono la qualità e il costo del servizio stesso, che è necessario investire su di essi, etc., ma finora poco è cambiato. Siamo ancora in presenza di professionisti convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, ma che operano con contratti nazionali simili ai dipendenti, agiscono per lo più isolati nel loro studio, non hanno un forte background clinico, né un aggiornamento continuo, non godono di  posizioni accademiche né di carriera in strutture territoriali complesse, quali dovrebbero essere le Case della Salute, i POT e i Walk-in Centres. Questi ultimi, in particolare, sono Poliambulatori sempre aperti e accessibili senza appuntamento per l’urgenza (non emergenza) che offrono alla popolazione una Guardia Medica e quindi una sicurezza, ai medici curanti un presidio attrezzato sia per l’urgenza, sia per approfondimenti diagnostici, scaricando anche il Pronto Soccorso da una casistica impropria. Essi possono anche essere sede dei Medici di continuità assistenziale e si possono utilmente integrare con i Presìdi di degenza territoriale a bassa intensità di cura e con le Case della Salute, specie quelle adibite alla cura dei cronici. Questi ultimi infatti necessitano di un’équipe per la valutazione multidimensionale che deve disegnare e aggiornare periodicamente un piano di cura, affidandolo ad un case manager che gestisce il paziente cronico e diviene il suo interlocutore abituale e il trait d’union con il medico curante ed i Centri specialistici, se del caso. In tal modo il Medico di Medicina Generale potrebbe anche liberarsi di gran parte del lavoro burocratico che oggi lo impegna per molto tempo, per dedicarsi al rapporto con i malati, all’aggiornamento che comprende anche la frequenza di Ospedali e strutture complesse territoriali, all’insegnamento e alla ricerca scientifica. In un simile sistema organizzativo non accadrebbe che il Medico di Medicina Generale non visiti i pazienti COVID a domicilio o in ambulatorio, perdendo così l’occasione di fare diagnosi e trattamenti precoci atti a salvaguardare il malato.

Speriamo che questa epidemia di COVID possa essere l’occasione per iniziare finalmente un percorso di miglioramento della Medicina Territoriale.

COVID19: la lezione per il futuro

Contrariamente ad altri luttuosi accadimenti come terremoti, inondazioni, incendi, la difesa dalle epidemie è compito primario della Sanità che, pur in collaborazione con altre Istituzioni dello Stato, ha la responsabilità tecnica di individuare e sottoporre al Presidente del Consiglio dei Ministri, per approvazione, le azioni di prevenzione e contrasto all’epidemia. La Sanità si avvale di un Comitato Tecnico-Scientifico che opera presso un Centro di Controllo e Prevenzione delle Malattie (CDC) che in Italia è stato costituito con legge 138/2004 e collocato presso la Direzione Generale della Prevenzione del Ministero della Salute, e che dovrebbe operare in autonomia e con specifici finanziamenti. Purtroppo di questa organizzazione non c’è stata traccia in occasione dell’attuale pandemia da Covid19. Continue reading “COVID19: la lezione per il futuro”

COVID: cosa abbiamo sbagliato?

Nel 2020 la pandemia da SARS-CoV-2 ha colto il mondo di sorpresa ed ha procurato danni ingenti di tipo sia sanitario che sociale ed economico. Diversi sono gli errori che abbiamo compiuto ed essi hanno contribuito a determinare queste sofferenze. Credo sia utile ricordare questi errori per trarne insegnamento ed evitare di ripeterli nel futuro:

  1. Nel 2001 la spesa sanitaria pubblica in Italia è stata di circa 61 miliardi di Euro; nel 2006 di 93 miliardi di Euro, nel 2019 poco più di 114 miliardi di Euro. Pertanto in 15 anni la spesa pubblica per la sanità è cresciuta di soli 21 miliardi di Euro, assai meno di quella del costo della vita. E’ stato calcolato che il Servizio Sanitario Nazionale abbia perso circa 37 miliardi di Euro negli ultimi 8 anni grazie soprattutto ad una politica rigorista che ha infierito su sanità, scuola, ricerca ed ambiente a favore di Istituzioni economico-finanziarie e di aziende decotte. In sanità questa stretta ha visto riduzioni quanti-qualitative dei servizi sanitari, del personale, dei beni e servizi, della manutenzione e della prevenzione. La salute pubblica ha così pagato un alto prezzo (vedi punto 2).
  2. È stata ignorata la preparedness alle epidemie tanto raccomandata dagli epidemiologi. Da sempre l’umanità è affetta da gravi epidemie che si presentano a tratti e mietono vittime. Dopo la Spagnola del 1918-1920 si è capito che bisogna essere sempre pronti a reagire precocemente alle epidemie perché non si può reagire efficacemente in emergenza. Sono così nati i Centri di Controllo e Prevenzione delle Malattie (CDC) che sono riuniti in rete e sono presieduti da esperti che analizzano le epidemie che continuamente appaiono nel mondo e valutano i rischi che esse comportano per i cittadini dei vari territori. E’ questo il risk assessment, cui fanno seguito vari scenari di gravità che servono a costruire piani di reazione (risk management) e la comunicazione di questi rischi ai sanitari e alla popolazione (risk communication) e relative misure di educazione. Questi piani prevedono anche periodiche esercitazioni per mantenere attivi i meccanismi operativi e la logistica, data anche la partecipazione di molteplici attori alla risposta (sanitari, Forze dell’Ordine, Vigili del Fuoco, Forze Armate, volontari). Anche l’Italia è stata dotata di un CDC con legge 138/2004 e questo Centro è stato collocato presso la Direzione Generale della Prevenzione del Ministero della Salute ed affidato ad un rinomato professionista della disciplina. Anche l’Unione Europea ha costituito nel 2005 un CDC europeo, collocandolo in Svezia presso Stoccolma. Or bene, di tutta questa rete di vigilanza e preparazione non si è nemmeno sentito parlare né in Italia né in Europa e nemmeno negli USA dove i CDC sono nati. Essa è stata evidentemente abbandonata per motivi di disattenzione e/o contenimento della spesa, con il risultato che ci siamo trovati in piena emergenza senza risorse, uomini, attrezzature atte ad affrontarla e facendo così piombare la Nazione in confusione con direttive improvvisate e contradditorie e con una comunicazione davvero infelice. Non ci siamo mossi nemmeno quando l’epidemia era già esplosa in Cina e mieteva molte vittime, quasi che il problema fosse solo cinese. Si sono ance visti conflitti istituzionali e polemiche con grave discredito del Paese, del Servizio Sanitario Nazionale e della scienza. Penoso poi il comportamento dell’Unione Europea che ha dimostrato come l’unione sia poco sentita dai Paesi costituenti ove al contrario sono ancora forti i nazionalismi.
  3. In occasione dell’epidemia da AIDS negli anni ’80, l’allora Ministro della Salute Carlo Donat Cattin stanziò L. 30.000 miliardi in conto capitale ex art. 20 per realizzare in Italia Istituti di Malattie Infettive capaci di trattare questi malati. Tali Centri sono distribuiti nella penisola e lì, soltanto lì dovevano afferire i malati di COVID onde evitare che, accedendo ad ogni Pronto Soccorso e ad ogni Ospedale, si trasformassero in focolai di contagio del CoV-2. Nell’urgenza di una situazione imprevista, e non avendo previsto di potenziare tali Centri di Malattie Infettive anche con strutture prefabbricate, se necessario, i pazienti hanno riempito tutti gli Ospedali del Nord e le relative Rianimazioni, contagiando il personale sanitario dentro e fuori l’Ospedale e divenendo così strumenti di diffusione del contagio. In particolare poi le nostre Rianimazioni si sono rivelate sottodotate, senza scorte di materiali, come quelli di protezione del personale o i ventilatori polmonari. In Germania il numero di posti in Rianimazione è circa 40.000, in Italia poco più di 5.000. La popolazione non è riuscita a trovare mascherine di protezione N95 o FFP2-P3, perché non avevamo scorte né contratti di fornitura vincolanti, e le gare al massimo ribasso avevano indotto le nostre imprese a smantellare le linee di produzione, in quanto non competitive con le imprese cinesi. Drammatica la sorte dei pazienti anziani ricoverati nelle RSA e di quelli rimasti al proprio domicilio, così come quella dei Medici di Medicina Generale che non erano in grado di raggiungerli e visitarli né di eseguire test diagnostici. Sappiamo che la diagnosi e il trattamento precoce della malattia sono fondamentali per evitare che il paziente si aggravi e debba finire in Rianimazione, ma questi pazienti sono stati confinati a casa con assistenza solo telefonica e quindi senza una visita medica né test di laboratorio che potessero confermare o escludere la malattia. Oltre ai pazienti il personale sanitario italiano ha pagato finora con 100 morti questi grossolani errori, ma la cosa che più offende è che l’Autorità sanitaria ha finora sostenuto che le mascherine non erano necessarie, anzi erano sconsigliate alla popolazione giacchè esse dovevano essere riservate solo al personale sanitario più esposto ai rischi di malattia. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità per il vero ha mantenuto posizioni ambigue con interventi tardivi e discutibili. Le polemiche tra tecnici nei continui spettacoli televisivi hanno poi contribuito a creare confusione e sfiducia nella popolazione. Riprovevole il comportamento delle Televisioni che invece di contribuire a informare correttamente la popolazione hanno organizzato talk-show finalizzati a creare spettacolo senza alcun riguardo alla corretta informazione e alla salute pubblica.
  4. Oggi si pone l’urgenza di far ripartire le attività produttive che sono ormai ferme da oltre un mese. Si è prospettata l’opportunità di effettuare nelle zone più a rischio e nei gruppi più a rischio (sanitari, Polizia, Forze Armate, addetti alla grande distribuzione, etc.) lo screening di anticorpi anti-CoV-2 seguiti nei soggetti positivi da determinazione del NAT per identificare i portatori del virus. Ciò potrebbe consentire di adibire alle attività più esposte quei soggetti anticorpi-positivi, NAT-negativi, che sono immuni e non infettivi, salvaguardando invece gli altri dal rischio di contrarre o diffondere la COVID. Abbiamo evidenza che i test ordinari Elisa per la ricerca di anticorpi sono sensibili e specifici al 90% (vedi dati di Bonino F. e Palù) e quindi possono essere impiegati senza remore, ma per motivi poco chiari i consulenti della Protezione Civile si oppongono a questa ricerca che permetterebbe di riaprire parte delle attività produttive almeno in zone molto colpite dall’epidemia dove si stima che il 50% della popolazione sia entrato in contatto con il virus e si sia immunizzato.

In conclusione, impreparazione, errata politica economica che trascura il benessere della popolazione a favore di interessi economici e finanziari, protagonismi di politici e tecnici, cattivi servizi delle Televisioni, scarsa osservanza delle regole da parte della popolazione stanno mettendo a grave rischio la salute e l’economia italiana. Governi nati da compromessi di palazzo più che dal consenso popolare, dovendo essere legittimati dall’Unione Europea per durare in carica, devono piegarsi al volere di chi non ha particolari riguardi verso il nostro Paese. Non sono stati fatti in Italia da decenni né piani industriali, né piani agricoli e nemmeno piani del turismo, anche se la Nazione affida gran parte delle sue entrate (12% del PIL) ad un turismo di massa talora purtroppo distruttivo.
Tutto questo e altro ancora si può definire impreparazione e malgoverno. Possiamo solo sperare che questa triste vicenda della COVID insegni all’Italia che deve cambiare radicalmente rotta, ripensare alcune Istituzioni e quindi la Costituzione e pretendere che al Governo accedano persone capaci e preparate, se si vuole sopravvivere come Nazione avanzata in un mondo molto competitivo e in rapida evoluzione.

Le Aziende sanitarie ed altro

Il termine Azienda nella sanità è nato ad indicare l’utilizzo di strumenti gestionali propri delle organizzazioni private per la gestione di quelle pubbliche. Purtroppo tuttavia tale uso ha prodotto degli effetti negativi: 1) in mancanza di veri ed esperti manager, la gestione è finita nelle mani di burocrati che ne hanno storpiato il significato e l’applicazione; 2) ne è nato un sistema verticistico e non di rado dispotico in cui tutto il potere è nelle mani di un Direttore Generale di nomina regionale e di formazione non medica, che è a sua volta vittima dell’ossessivo centralismo regionale. Egli infatti, in quanto nominato, è sotto scacco continuo ed è tenuto all’osservazione scrupolosa delle disposizioni sempre più minute che gli vengono impartite dalla Regione. In questo contesto, inoltre, l’aspetto medico ed assistenziale sono ormai passati in secondo piano rispetto a quelli economici e politici. In una simile situazione non ha più senso parlare di autonomia dell’Azienda e di iniziativa personale; in realtà non ha più senso parlare di Azienda, anche perché questa, al contrario delle Aziende private, è vincolata dalle regole sempre più stringenti della pubblica amministrazione che, lungi dal garantirne un buon funzionamento, la penalizzano e rendono impossibile la concorrenza col privato. Continue reading “Le Aziende sanitarie ed altro”

Le Regioni e la Sanità

Il principale compito della Regione è il governo del Sistema Sanitario Regionale. Questo processo si compone di alcuni capitoli fondamentali, ossia:

1. definizione del fabbisogno di servizi sanitari e loro finanziamento all’interno delle disponibilità finanziarie della Regione e delle norme nazionali e regionali
2. accreditamento degli erogatori di servizi pubblici e privati, ossia di quelli che producono servizi per conto della Regione e sono da questa retribuiti
3. contratto di correttezza (compliance) con gli erogatori accreditati e loro responsabilizzazione su qualità dei servizi erogati e relativo costo
4. organizzazione e gestione del controllo regionale su quantità, qualità e costo dei servizi prestati dai singoli erogatori e definizione delle sanzioni da applicare in caso di infrazione degli accordi. Continue reading “Le Regioni e la Sanità”

Il Servizio Sanitario Nazionale compie 40 anni: come salvarlo e renderlo migliore

Alcuni esperti si stanno interrogando su come migliorare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano. Lodevole impegno, giacché esso offre notevoli vantaggi quali l’elevato gradimento della popolazione (criterio che dovrebbe essere sempre prioritario per i servizi pubblici), ma anche un accesso universale e un costo inferiore a quello di altri sistemi sanitari. Il SSN oggi è in difficoltà sia per motivi di sostenibilità economica (in quanto la spesa sanitaria tende a crescere a causa dell’invecchiamento della popolazione e del tumultuoso progresso tecnologico), sia per una serie di scelte organizzative che si sono succedute dal 1978 ad oggi e che non sempre sono risultate felici. Tra queste, a mio avviso, l’imposizione di esosi ticket sulle prestazioni (talora associati a criteri di esenzione per patologia sempre più ristretti), la diffusione di una libera professione intramoenia che offre servizi celeri a fronte di un pagamento, liste di attesa eccessivamente lunghe per alcune prestazioni (e quindi razionamento), difformità tra le diverse aree del Paese per qualità, quantità e costo delle prestazioni sanitarie erogate, modelli di assistenza socio-sanitaria alla cronicità spesso inadeguati, disattenzione grave alla valorizzazione del merito dei medici e del restante personale che opera in sanità. Il personale medico in particolare è stato marginalizzato e sottoordinato a personale amministrativo che troppo spesso segue solo logiche contabili con danni enormi per i pazienti, per il personale sanitario e talora per la stessa efficienza. La valorizzazione del merito è quasi scomparsa in sanità dove l’appiattimento è molto marcato, il burn out del personale cresce, diminuiscono qualità ed efficienza e con esse l’attenzione e l’empatia per i malati. Non è facile risalire la china in un simile momento. Io credo che il bandolo della matassa potrebbe trovarsi nel rapporto imperfetto tra lo Stato Centrale e le Regioni, che potrebbe utilmente essere riconsiderato. Non propongo, si badi bene, di mettere in discussione la Costituzione o i poteri regionali, ma solo di chiarire meglio e insieme i rispettivi ruoli, con vantaggi per entrambi. Lo Stato Centrale è responsabile del diritto alla salute dei cittadini (art. 32 della Costituzione) e deve quindi stabilire i principi che consentono ad ogni italiano di godere degli stessi diritti ovunque si trovi. Lo Stato dovrebbe pertanto disegnare il sistema, i suoi limiti di oscillazione e gli standard di quantità, qualità e costo dei principali servizi erogati, impostando anche un sistema di verifica sui risultati ottenuti nel Paese e le eventuali azioni correttive e sostitutive. Continue reading “Il Servizio Sanitario Nazionale compie 40 anni: come salvarlo e renderlo migliore”