COVID-19 e comunicazione dei rischi

Social media e Televisioni da mesi propongono dibattiti sul COVID-19 e la popolazione partecipa al dibattito schierandosi a favore o contro alcune persone, tesi o iniziative. Penso che tutto questo sia sbagliato e abbia contribuito non poco a creare incertezze, panico e discredito delle Istituzioni e della scienza. Baso questa convinzione sui seguenti fatti:

  • il dibattito scientifico è la regola tra gli scienziati, giacchè la scienza si muove per passi successivi: la verità scientifica è relativa, vale cioè oggi e può essere smentita domani. Il continuo divenire della conoscenza è tuttavia una caratteristica che confonde il pubblico profano che vuole certezze assolute;
  • lo scienziato non è un tuttologo, ma una persona che conosce e coltiva ambiti specifici e limitati del sapere. Pertanto un epidemiologo e un clinico non sono intercambiabili e hanno visioni assai diverse dei problemi. Essi possono però collaborare a risolvere questi problemi ed è appunto il risultato di questa collaborazione che può accelerare il progresso della conoscenza. Al pubblico va portata questa sintesi, non i singoli passi del lavoro in corso, dato che il pubblico non ha gli strumenti cognitivi per comprendere;
  • il protagonismo degli scienziati deve essere mortificato, non stimolato. In tutti i campi vi sono persone che hanno un bisogno sfrenato di apparire, di calcare un palcoscenico specie se questo è un trampolino per migliorare la propria carriera. Per questo è necessario che l’informazione su temi così preoccupanti e gravi come il COVID-19 venga divulgata da portavoce autorevoli e credibili, possibilmente in numero limitato. L’informazione deve essere veritiera, non deve nascondere né i risultati né i problemi, ma evitando allarmismi.

Quello che stiamo vedendo in Italia è un esempio di come l’impreparazione all’epidemia abbia portato ad una comunicazione di massa del tutto sbagliata. Un piano di preparazione alle epidemie (raccomandato da decenni dai massimi organismi internazionali) deve infatti curare con attenzione la comunicazione dei rischi, perché da questa dipendono in grande misura i comportamenti della gente ed il successo delle iniziative di contrasto. Avevamo gli strumenti per prepararci, ma ci sono mancati attenzione e rispetto della salute pubblica, così come continuiamo a non rispettare la “health in all policy” e l’“one health”, iniziative cui abbiamo aderito e che impongono ai Governi di non emanare provvedimenti che nuocciono alla salute pubblica cioè alla salute degli uomini, degli animali e dell’ambiente, che costituiscono un tutt’uno, come troppo spesso accade per favorire interessi di parti della società. Interessi e ignoranza di chi decide sono i grandi nemici della salute pubblica e purtroppo prevalgono molto spesso. Ciò è accaduto anche oggi con COVID-19 che, forse non a caso, si è presentato dopo anni di scelte sciagurate che hanno dissestato la sanità per favorire altri settori.  Oggi che abbiamo visto quanto vale la salute e che dobbiamo spendere enormi capitali per rimediare ai nostri errori dovremmo trarre un insegnamento per il futuro: misuriamo la qualità dei Governi sulla loro attenzione al benessere della popolazione tutta e non di singoli gruppi di interesse.

COVID e Medicina Territoriale

I malati di COVID lasciati soli a casa con un consulto solo telefonico, ripropongono con forza il problema della Medicina Territoriale e dei Medici di Medicina Generale. Da anni sento dire che questa deve essere la figura centrale del Servizio Sanitario Nazionale, che da essi dipendono la qualità e il costo del servizio stesso, che è necessario investire su di essi, etc., ma finora poco è cambiato. Siamo ancora in presenza di professionisti convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, ma che operano con contratti nazionali simili ai dipendenti, agiscono per lo più isolati nel loro studio, non hanno un forte background clinico, né un aggiornamento continuo, non godono di  posizioni accademiche né di carriera in strutture territoriali complesse, quali dovrebbero essere le Case della Salute, i POT e i Walk-in Centres. Questi ultimi, in particolare, sono Poliambulatori sempre aperti e accessibili senza appuntamento per l’urgenza (non emergenza) che offrono alla popolazione una Guardia Medica e quindi una sicurezza, ai medici curanti un presidio attrezzato sia per l’urgenza, sia per approfondimenti diagnostici, scaricando anche il Pronto Soccorso da una casistica impropria. Essi possono anche essere sede dei Medici di continuità assistenziale e si possono utilmente integrare con i Presìdi di degenza territoriale a bassa intensità di cura e con le Case della Salute, specie quelle adibite alla cura dei cronici. Questi ultimi infatti necessitano di un’équipe per la valutazione multidimensionale che deve disegnare e aggiornare periodicamente un piano di cura, affidandolo ad un case manager che gestisce il paziente cronico e diviene il suo interlocutore abituale e il trait d’union con il medico curante ed i Centri specialistici, se del caso. In tal modo il Medico di Medicina Generale potrebbe anche liberarsi di gran parte del lavoro burocratico che oggi lo impegna per molto tempo, per dedicarsi al rapporto con i malati, all’aggiornamento che comprende anche la frequenza di Ospedali e strutture complesse territoriali, all’insegnamento e alla ricerca scientifica. In un simile sistema organizzativo non accadrebbe che il Medico di Medicina Generale non visiti i pazienti COVID a domicilio o in ambulatorio, perdendo così l’occasione di fare diagnosi e trattamenti precoci atti a salvaguardare il malato.

Speriamo che questa epidemia di COVID possa essere l’occasione per iniziare finalmente un percorso di miglioramento della Medicina Territoriale.

La storia ufficiale

E’ a tutti noto che la storia è scritta dai vincitori che notoriamente distorcono la verità a loro vantaggio. Non mi meraviglia quindi che la storia che ci insegnano a scuola sia manipolata. Ad esempio, chi sono stati nel 1945 in Italia i vincitori? Chiaramente gli alleati, ma questi alleati non sono venuti in Italia per liberarci, come viene spesso ripetuto; sono venuti per alleggerire i fronti Orientale e Occidentale e impegnare i Tedeschi su un fronte Meridionale. Qui essi non si sono impegnati troppo: il loro compito infatti non era quello di avanzare, ma di temporeggiare, così da obbligare i Tedeschi a mantenere truppe su un terzo fronte. Gli alleati non erano per nulla interessati all’Italia e agli Italiani che erano loro nemici, in quanto alleati dei Tedeschi che avevano poi tradito. In particolare non avevano alcuna considerazione della Resistenza anche perché questa era una sparuta minoranza che si manifestò solo tardivamente. La Resistenza però fu assai lesta nel vantare il proprio ruolo e nell’autoproclamarsi Governo provvisorio del Paese nel 1945, acclamata da quei 40 milioni di Fascisti che il 25 luglio 1943 si erano trasformati in una notte in 40 milioni di Antifascisti (Winston Churchill). L’America non si oppose né favorì questo evento, ma poi accettò lo stato di fatto perché pensò di utilizzare l’Italia come baluardo anticomunista in posizione strategica. Così il Governo provvisorio cacciò l’infame monarchia sabauda e diede vita ad una Costituzione, insediandosi saldamente al potere e dando inizio alla Repubblica Italiana. Tra scossoni e tradimenti, ambiguità e continue crisi di Governo, il 18 aprile 1948 la Democrazia Cristiana si insediò saldamente al potere con il malcelato scopo di mantenerlo a qualunque costo, alleandosi con chiunque pur di governare. Ma questa storia non è quella che insegnano a scuola dove si continua di parlare di liberatori americani, di Repubblica e Costituzione nate dalla Resistenza, di ruolo determinante della Resistenza nell’affermazione di democrazia e libertà, così oscurando la storia vera e le nefandezze che una guerra civile, quale fu la Resistenza, porta sempre con sé. Oggi una parte politica continua a mantenere vivi questi miti e noi continuiamo a far finta di crederci.

Il Movimento dei Conservatori d’Italia (Tories)

PRESENTAZIONE

INTRODUZIONE

In Italia la Destra Storica è scomparsa da oltre 1 secolo. Parliamo della Destra di Cavour, che si ispira ai Tories britannici, una Destra democratica e conservatrice, che pone l’identità, la sovranità, i valori e gli interessi nazionali al di sopra di altri valori, una Destra che vuole una società ordinata e governata da leggi eque e rispettate senza eccezioni, le cui parole d’ordine sono “Legge e Ordine”, ma anche valorizzazione del merito e gerarchia basata sul valore e sui buoni comportamenti.

I conservatori rifiutano l’avventurismo e il disordine in ogni loro forma, ma sono aperti al futuro, al cambiamento utile, alla scienza e all’innovazione, purché rispettosi dei diritti umani universali.

PERCHE’ UNA DESTRA STORICA

  1. Perché la proprietà privata è troppo spesso dimenticata ed anzi abusata dallo Stato (si pensi all’insopportabile tassazione sugli immobili, all’odiosa tassa sulle successioni, alle imposte sui risparmi ed al costante rischio di patrimoniale) e da altre Istituzioni del Paese.
  2. Perché, oggi, molte leggi sono ispirate al collettivismo, a scapito di un’efficace organizzazione e di una chiara definizione dei diritti e dei doveri di ciascuno.
  3. Perché pullulano ideologie ipocritamente umanitarie, ma di fatto contrarie all’interesse degli Italiani.
  4. Perché non c’è sostegno all’impresa privata (che è la maggior sorgente di produttività e posti di lavoro), ma si sprecano risorse in enti o interventi pubblici per lo più inutili o utili solo alla peggiore politica (basti pensare alle 8.000 imprese controllate o partecipate di Regioni e Comuni o alle molte opere pubbliche inutili o malfatte).
  5. Perché il sistema giuslavoristico e le politiche economiche per l’impiego sono sempre più lontane dal mondo dell’impresa. Ciò che determina la fuga degli imprenditori e dei cervelli, scoraggia gli investimenti produttivi e rende l’Italia terra di saccheggio (dagli immobili di valore, alle aziende che vengono acquistate per il know how e poi smembrate).
  6. Perché “Legge e Ordine”, ossia le regole della Destra Storica, impediscono ad una democrazia di degenerare in anarchia.

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