La pandemia di Sars-Cov-2 e il nostro Servizio Sanitario Nazionale

In occasione del suo 25° Congresso nazionale (26-29 settembre 2020 in collegamento con modalità virtuale) la Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI) mi ha posto le 3 seguenti domande:

  1. Il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è veramente arrivato impreparato, come qualcuno sostiene, all’emergenza Covid-19?
  2. Quali prospettive di sviluppo può avere il nostro SSN?
  3. Quale può essere il contributo delle Società scientifiche in un SSN rinnovato?

RISPOSTE

  1. Come in altri Paesi avanzati, ritengo che l’Italia si sia trovata impreparata di fronte alla pandemia di Sars-Cov-2 in almeno tre principali ambiti:
    a) Nel 2012, primo anno in cui sono stati drasticamente ridotti anche i finanziamenti ai Ministeri, il Ministero della Salute ha smantellato Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie che era stato costituito, sul modello dei Centers for Disease Control and Prevention (CDCs) statunitensi in occasione della Sars-2003 con il Decreto Legge 29 marzo 2004 n.81 “Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica” convertito in Legge 26 maggio 2004 n. 138, e che, in unione ai servizi epidemiologici delle regioni che ne erano costituenti, aveva il compito di partecipare ad una rete internazionale di vigilanza sulle epidemie in analogia ai CDC di altri Paesi. Per ogni epidemia apparsa nel mondo era suo compito definire i rischi per il nostro territorio e attivare piani di contrasto efficienti comprendenti la logistica, il raccordo con altre istituzioni dello Stato, i materiali necessari e, non ultima, la comunicazione con il personale sanitario e con la popolazione. Le calamità non si possono affrontare quando ci colpiscono ma solo con piani ben strutturati preparati in anticipo.
    Per chi fosse interessato ad approfondire questo aspetto rimando al documento del Johns Hopkins Center for Health Security “Preparedness for a High-Impact Respiratory Pathogen Pandemic” del settembre 2019, disponibile al link
    https://www.centerforhealthsecurity.org/our-work/pubs_archive/pubs-pdfs/2019/190918-GMPBreport-respiratorypathogen.pdf
    b) Il sistema delle cure primarie si è dimostrato debole, privo di presidi territoriali adeguati (Presidi ospedalieri territoriali, Case della salute, altre strutture intermedie) e di collegamento e integrazione con gli specialisti e gli ospedali. I medici di base non disponevano né di dispositivi personali di protezione né di strumenti diagnostici specifici (tamponi) e hanno pagato anche con la vita, mentre ai pazienti a casa e senza assistenza veniva sconsigliato di recarsi dal curante o in ospedale. Siamo persino arrivati a non avere un numero di medici sufficiente a coprire i ruoli grazie alla riduzione degli organici operata per anni e alla fuga in pensione di molti sanitari. Da anni si proclama che la medicina territoriale deve essere potenziata, ristrutturata e meglio integrata ma si è fatto molto poco.
    c) I materiali strategici e le aziende che li producono si sono diradati in Italia perché con la globalizzazione e la corsa al massimo ribasso abbiamo indebolito il nostro Paese e rafforzato la Cina senza pensare che quest’ultima acquisiva una forza strategica eccessiva. Da troppi anni inoltre il finanziamento della sanità, della ricerca scientifica, della scuola e dell’Università ha subito una importante riduzione relativa che, per la sanità, è stata calcolata in 37miliardi di euro nell’ultimo decennio. Si è trattato di un errore grossolano che non solo non ha comportato risparmi ma si è tradotto in maggiori spese giacché ha indebolito questi importanti motori economici di sviluppo e che costerà alla nazione almeno euro 300miliardi. Il solo finanziamento peraltro non è sufficiente se manca un pensiero guida indipendente che è proprio dello Stato e che nasce da studio, ricerca e cultura e che non può prescindere da principi rigorosi che includono il rispetto per il paziente, per i medici e per il rimanente personale sanitario oltre che dall’equità, efficienza e qualità del sistema. Un altro temibile pericolo deriva dal fatto che molti hanno capito come la sanità sia un settore in crescita ed una opportunità di business, cosicché esso si sta affollando pericolosamente di gruppi di interesse nazionali e stranieri. Solo principi chiari e avveduti possono evitare che la nostra sanità diventi presto terreno di scorrerie speculative a danno dei malati.
  2. Circa le prospettive per il nostro SSN io ritengo che esso sia vantaggioso per la Nazione e vada salvato ma a condizione che venga ripensato e corretto a vari livelli. Tra questi ho già ricordato la salute pubblica e la prevenzione, la medicina territoriale, i finanziamenti insufficienti, il rispetto dei malati e del personale. Aggiungo altri tre elementi: vanno una volta per tutte ben definiti gli equilibri fra competenza dello Stato e delle Regioni, fra pubblico e privato accreditato, fra il ruolo dei medici e quello dei manager, fra competenze tecniche e politiche, sottraendo la sanità all’invadenza della politica.
  3. Le Società scientifiche costituiscono un grande patrimonio del sapere purtroppo poco utilizzato. Esse potrebbero contribuire a migliorare molti degli aspetti sopra citati e fornire utili conoscenze ai decisori politici. Con questa convinzione fu costituita negli anni ’80 la FISM (Federazione Italiana delle Società Medico-scientifiche) ma l’iniziativa non ebbe il successo sperato a causa di gelosie e contrasti fra le oltre 100 Società scientifiche italiane, nel disinteresse più completo del Ministero della Salute e delle regioni. Forse si potrebbero organizzare meglio le loro funzioni e relative aggregazioni istituzionalizzando il loro ruolo e definendone meglio i criteri di partecipazione; ma anche delimitando meglio i rapporti con l’ industria così da ridurne i troppo evidenti conflitti di interesse e facendo anche sì che le Società scientifiche si sottraggano al rischio di diventare strumenti nelle mani della politica. A queste condizioni le Società scientifiche potrebbero e dovrebbero diventare un interlocutore privilegiato dei decisori politici per molti aspetti soprattutto organizzativi.
    Penso in particolare alla utilità di posizioni ufficiali affidabili (Position papers) su vari problemi medici di tipo preventivo, diagnostico e curativo, di misure di promozione e tutela della salute pubblica sempre più minacciata da interessi organizzati e speculazioni commerciali, ma anche alla necessità di ripensare l’organizzazione dei servizi sanitari alla luce dell’evolversi delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Cito a titolo di esempio la motivazione del personale sanitario e il suo aggiornamento in schemi di Continuous Professional Development, la definizione di standard nazionali di quantità, qualità e costo delle principali prestazioni sanitarie (tesi a ridurre le diseguaglianze di trattamento fra le varie aree del Paese), ma anche l’organizzazione delle strutture territoriali complesse (Case della Salute, Presidi Ospedalieri Territoriali e altre strutture intermedie, Walk-in Centers) e le figure professionali che vi operano. Oggi le Società medico-scientifiche intervengono solo marginalmente in questi ed altri campi e con i decisori interagiscono al più gli Ordini dei medici o i sindacati medici, che hanno ovviamente conoscenze e finalità differenti.

In definitiva il Codiv-19 può insegnarci molto se abbiamo l’accortezza di imparare dagli errori e se crediamo veramente nel SSN. Se al contrario prevarranno retropensiero e altre spinte settoriali tutto rimarrà come e forse peggio di prima.

 

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